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Imponderabile e soggettivo. Me verso San Paolo

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RISPOSTE COMUNITARIE. INCONTRO DI SAPERI E PRATICHE DI ATTUAZIONE COMUNITARIE. San Paolo, 20-21/03/12. Primo racconto.

Sì, perchè si trattava di mettere insieme saperi e pratiche appunto. Ricerca, teoria. E prassi. Due giornate dedicate agli interventi comunitari nel sociale. Filo conduttore: il gruppo come soggetto protagonista della lotta ai problemi più drammatici che riguardano la società civile.

Ciò che caratterizza il cosiddetto 'trattamento comunitario' parte proprio dall'integrazione e dalla valorizzazione di tutti quegli interventi che nascono all'interno delle comunità stesse, e non che siano in qualche modo imposti ad esse. Azioni e interventi che partono dal basso e vanno verso l'alto, non viceversa. Il trattamento comunitario ha lo scopo di garantire le migliori condizioni di esistenza possibile a tutte quelle persone che vivono una grave situazione di emarginazione sociale: tossicodipendenza, vita di strada, alcolismo, abbandono di minori e così via.

Si stigmatizza e si assegnano categorie forse troppo facilmente nel parlare di certe realtà. Qui, in queste due giornate, se c'è qualcosa che è emerso in tutta chiarezza era che si parlava prima di tutto di esseri umani, e la comunità stessa a cui loro appartengono si fa garante e si prende la responsabilità del fatto che in un modo o nell'altro siano finite abbandonate a loro stesse.

I protagonisti di questo contesto di dialogo e confronto fanno tutti parte di diversi progetti che coinvolgono l'intera America Latina: dal Brasile all'Argentina, al Cile, al Perù, al Messico. Il lavoro che portano avanti si sviluppa all'interno delle comunità stesse, microcosmi carichi di potenziale, affinchè si riesca a fare qualcosa di concreto per migliorare proprio quell'ambiente, rafforzandone la rete di rapporti interumani in maniera del tutto naturale e meno istituzionalizzata possibile.

Cos'è l'emarginazione? Chi sono le persone 'ai margini'? Di quali contesti specifici stiamo parlando? Abuso di alcol, di droga, HIV e AIDS, gente di strada, povertà, violenza di ogni tipo. Queste sono le porte che ci si aprono davanti. E se una delle soluzioni sembra non essere abbastanza efficacie, cioè quella del trattamento istituzionalizzato di certe problematiche, l'altra soluzione che può essere davvero vincente è il trattamento comunitario come intervento sul campo per la creazione di tutte le condizioni necessarie affinchè emerga dall'ambiente stesso una trasformazione.

I temi che si sono affrontati nel corso di queste due giornate sono stati molti, ma come sempre quello che colpisce è la partecipazione di chi prende la parola sul palco e di quelli che stanno di fronte in un ascolto attivo e partecipante.

C'è chi saluta il pubblico e critica una risposta mancata a quel saluto: ''Partiamo da questo cambiamento! Se vi saluto, perchè anche voi non iniziate a salutare partecipando alla relazione? Creiamo una buona onda. Non sono realtà ai margini così distanti da noi. Il cambiamento parte dai piccoli gesti''. Inutile pensare all'uso e abuso di crack per strada, ai bambini che mangiano l'immondizia abbandonata agli angoli dei marciapiedi se poi chi si mette ad osservare scenari simili finisce per sentirsi inutile e impotente (''E io che posso farci?''). Questo il senso dell'agire comunitario. Cambiare prospettiva e trovare ognuno il proprio oggetto di trasformazione.

Le organizzazioni sociali che si sono alternate nel confronto in queste due giornate così cariche sono molto diverse le une dalle altre: c'è chi lavora con la musica, con la danza, con le tradizioni afro, c'è chi coordina laboratori di grafica audiovisiva, di tessitura, di pittura, scultura, chi apre officine agricole e tanto altro ancora. I protagonisti di questo lavoro sono gli operatori insieme alle classi più emarginate, si muovono insieme e creano opportunità, in un saldo anello di condivisione reciproca di storie umane in cui affetti ritrovati e dolori curati fanno il terreno fertile in cui si genera diversità.

Le parole che si sono alternate nelle mie orecchie erano 'sogno', 'fragilità', 'capacità', 'arricchimento', 'reciprocità'. Nello stare sopra un palco non c'era lo sfoggio di un'erudizione, di un possesso di conoscenza, ma in tutto e per tutto solo e soltanto la volontà di arricchirsi totalmente anche attraverso l'esperienza e la generosità dell'ascolto altrui.

Durante il tempo del convegno si è creato qualcosa che posso facilmente definire 'comunità'. Un'altra volta, un modo di stare diverso, che mi piace, che sento a me familiare e che (anche qui) in America Latina diventa prassi e comportamento di ricerca.

 

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